Negli ultimi mesi i cittadini italiani assistono quotidianamente, tra attonito stupore ed indefinibile paura, al rapido e progressivo crollo di decennali certezze sugli standard di vita propri e dei propri familiari. L’unico punto fermo appare ormai la ineluttabilità della spesa sempre crescente a cui sono obbligati per montare pale e pannelli dappertutto. Secondo la relazione annuale presentata un paio di settimane fa dal Presidente della Autorità per l’energia elettrica, già il 10% delle famiglie e il 19% delle piccole-medie imprese è in condizione di morosità nel pagamento delle bollette energetiche: http://www.autorita.energia.it/allegati/relaz_ann/12/ra_12pres.pdf
Eppure la settimana scorsa, proprio in coincidenza dei provvedimenti del cosidetto “spending review” per evitare l’aumento dell’IVA, recuperando circa 4 miliardi di spese con i tagli ad ospedali, scuole, ricerca, forze armate eccetera, il Governo ha ignominiosamente destinato, modificando gli schemi di decreti che conoscevamo, ulteriori 10 miliardi (500 milioni annui per 20 anni) da regalare ai lobbysti delle rinnovabili. Ma se costoro fanno legittimamente (fino a prova contraria) i propri interessi, chi persevera a sbagliare è il Governo (non importa se di destra, di sinistra o tecnico) che NON fa mai gli interessi della Nazione in questo settore. Perchè? E’ sufficiente la spiegazione tecnica e formale secondo cui questa spesa viene addebitata direttamente nelle bollette elettriche senza transitare dal bilancio statale ed è quindi esclusa dagli obblighi, assunti in sede U.E., di contenimento della spesa pubblica? Non credo. Anche perchè, se così fosse, questo comportamento sarebbe indice di scarsa serietà. E non solo nei confronti dei propri cittadini…
Ecco dunque il testo definitivo (definitivo?) del decreto esecutivo che riforma gli incentivi all’energia elettrica prodotta da impianti rinnovabili diversi dal fotovoltaico; anche in questa circostanza, mi limiterò a commentare le novità del nuovo testo riguardanti l’eolico industriale: http://qualenergia.it/sites/default/files/articolo-doc/DM-rinnovabili-elettriche_6lug2012.pdf
Ancora delle modifiche quindi, e in senso peggiorativo, al tormentato schema di decreto del quale ci siamo più volte occupati: https://reteresistenzacrinali.wordpress.com/2012/04/24/schema-del-decreto-esecutivo-per-ridefinire-gli-incentivi-agli-impianti-ad-energia-rinnovabile-escluso-il-fotovoltaico/
e contro il quale abbiamo manifestato a Roma: https://reteresistenzacrinali.wordpress.com/2012/04/22/anche-rappresentanti-della-rete-della-resistenza-sui-crinali-a-roma-con-le-associazioni-a-manifestare-contro-gli-ulteriori-regali-che-il-governo-intende-concedere-alleolico-industriale/
La notizia peggiore in assoluto è l’aumento a 5,8 (da 5,5) miliardi del tetto di spesa (annuo!) per il non fotovoltaico ed a 6,7 (da 6,5) per il fotovoltaico, per un totale di 12,5 miliardi l’anno di regali, anzichè 12. Ricordo che l’attuale spesa annua è giunta all’incredibile ordine di grandezza di 9 miliardi, come gli italiani hanno constatato dagli aumenti in bolletta: davvero non male in una atmosfera da “spending review” generalizzato.
Va dunque rivisto il titolo del post pubblicato in aprile sul sito della RRC: https://reteresistenzacrinali.wordpress.com/2012/04/16/se-230-miliardi-di-euro-vi-sembran-pochi/che si dovrà ora leggere: “Se 240 miliardi di euro vi sembran pochi”.
Sgomberiamo subito il campo dagli equivoci e dalla retorica buonista dei tanti politici, pubblici amministratori ed ecologisti “del fare” recentemente comparsi ed in preda ad una sindrome da improvvisa folgorazione per l’energia rinnovabile industriale (a cui dedicheremo il prossimo post): questa montagna di ulteriori dieci miliardi finirà nelle stesse tasche a cui erano destinati gli altri duecentotrenta, in aggiunta a tutte le decine di miliardi finora già spesi (e che alimentano la suddetta sindrome), dal 2002, per soddisfare il 3,2% dei consumi nazionali annui di energia elettrica col fotovoltaico, il 3% con l’eolico e poco altro (tranne la sindrome, intendo dire…) senza risolvere nessuno dei problemi energetici ed ecologici che sono alla base di tutto, ed anzi aggrovigliandone alcuni. E dunque ancora niente per ricerca, innovazione, nuovi modelli di sviluppo, sistemi di accumulo di energia elettrica, ma un’altra valanga di costosissime pale e pannelli prodotti all’estero e da montare in ogni parte d’Italia.
Per quello che riguarda l’eolico industriale, gravissima appare anche la proroga di quattro mesi (dal 31 dicembre 2012 al 30 aprile 2013) a vantaggio degli impianti che entreranno in esercizio nel frattempo (ma fortunatamente solo quelli già autorizzati alla data della pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale) per dare loro diritto ad un “meccanismo di incentivazione alternativo” rispetto a quello previsto dal nuovo decreto, ma che in realtà è la stessa incentivazione di cui godranno, in futuro, gli impianti che ora percepiscono i certificati verdi. Una sanatoria per i ritardatari, dunque, che ci fa temere che, anche nel 2013, si raggiungeranno probabilmente gli abituali mille MW di eolico installati annualmente, anzichè i “soli” 550 autorizzati dai contingentamenti previsti dal testo precedente.
Ci dobbiamo quindi verosimilmente aspettare altri 4 mesi di assalti spregiudicati, molto spesso ai confini delle leggi, come quelli a cui stiamo assistendo in questi giorni, per costruire quanti più impianti possibili prima dell’entrata in vigore del nuovo sistema delle aste al ribasso, che dovrebbe almeno evitare il sacrificio dei siti meno ventosi.
Alcuni comitati della Rete ne prendano atto da subito e si preparino a resistere per quattro mesi in più ed a contrastare violentissime pressioni: la suddetta sanatoria non esclude certo il rispetto di leggi e regolamenti.
Viene inoltre alzato da 50 a 60 MW il contingente annuo nel triennio 2013-2015 per gli impianti tra 1 e 5 MW e vengono dilatati i tempi entro cui costruire gli impianti godendo dei nuovi incentivi senza decurtazioni per ritardi.
In mezzo a tante cattive notizie riscontriamo un significativo cambiamento nel testo dei considerata iniziali (a pag. 4) che potrebbe apparire un bizantinismo (in effetti è un bizantinismo) ma che modifica tutta la impostazione di fondo che si voleva assegnare a questo decreto esecutivo. Al posto della ambigua affermazione comparsa nell’introduzione all’ultima versione dello schema di decreto, quando si è fatto riferimento per la prima volta ad una non meglio precisata Strategia Energetica Nazionale: “tenendo conto delle esigenze di bilanciamento … si ritiene che il nuovo target di energia elettrica da fonte rinnovabile al 2020 possa essere pari al 32-35% dei consumi elettrici totali” c’è ora una più cauta “le esigenze … porteranno ad una redifinizione del nuovo target di energia elettrica da fonte rinnovabile al 2020 che potrà essere pari al 32-35% dei consumi elettrici totali”.
La differente formulazione non consiste solo nella scelta del tempo futuro, ma evita un clamoroso rischio di incostituzionalità che si correva inserendo in un decreto esecutivo, con un colpo di mano, la modifica di una materia riservata ad un provvedimento legislativo di ordine gerarchicamente superiore.
Questo decreto, come recita l’articolo 1, ha perciò solo “la finalità di sostenere la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili attraverso la definizione di incentivi …in misura adeguata al perseguimento dei relativi obiettivi, stabiliti nei piani d’azione per le energie rinnovabili…”
E’ dunque falso sostenere, come risultava da dichiarazioni ed articoli di stampa in questi mesi, che si è alzato l’obiettivo da raggiungere che rimane ancora il 26,39% previsto dal PAN. Le ridefinizioni di eventuali nuovi target sono lasciate a tempi, e provvedimenti legislativi, futuri.
Rimane semmai da chiedersi per quale motivo si è ritenuto opportuno emanare questo decreto esecutivo (e stanziare cifre così ingenti) quando l’obiettivo previsto nel piano d’azione per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sarà raggiunto e superato già quest’anno, mentre nulla è stato fatto per gli altri obiettivi fissati nel PAN, anche in considerazione del fatto che, come recita esplicitamente il testo del decreto stesso a pag.4, “si debba dare maggiore impulso ai settori calore e trasporti e all’efficienza energetica, che sono le modalità, in media, economicamente più efficienti”.
Rivendichiamo perciò a gran voce una maggiore coerenza da parte del legislatore e che a queste parole seguano i fatti. E che si spostino, il più rapidamente possibile, gli enormi stanziamenti qui riservati alla produzione della energia elettrica più costosa del mondo a questi altri settori “economicamente più efficienti” e soprattutto (questo è il nostro cruccio) non impattanti su paesaggio, ambiente e salute. Richiamando la stessa citazione da Tertulliano che la AEEG ha usato per introdurre la sua relazione annuale: Ceterum suspecta lex est…
Mi sia consentita, per concludere, una chiosa di carattere più generale.
Secondo le cronache, nell’aumento della già smisurata prodigalità governativa ai danni dei consumatori e nella concessione della “fase transitoria” di altri quattro mesi che tanti danni porterà al territorio nazionale con l’assalto all’ultima diligenza che avrà luogo nei prossimi mesi, si sono distinte (lo riconosce anche il testo governativo a pag.6) “le Regioni e gli Enti locali”.
I comitati e le associazioni avevano avuto prove di questa caparbia e generalizzata volontà politica di privilegiare, rispetto al bene comune, gruppi di interesse organizzati già in occasione dei lavori per le così dette linee guida regionali per regolamentare gli impianti ad energia rinnovabile (ecco ad esempio quello che è accaduto in Emilia Romagna, un tempo famosa per il rigore in materia ambientale: https://reteresistenzacrinali.wordpress.com/2011/07/31/commento-e-testo-della-delibera-linee-guida-emilia-romagna-sulle-fonti-rinnovabili/ ), che hanno portato alla emanazione di testi insignificanti quando non dannosi.
Quanto accaduto in Conferenza Stato Regioni per questo decreto ne è stata una ulteriore conferma.
Dobbiamo quindi concludere che, dopo 150 anni dall’unità d’Italia, è stato finalmente raggiunto un principio minimo comune di buona amministrazione valido in tutte le parti del Paese: “chiagni e fotti”. Ossia: al mondo ci sono i fessi e i furbi, e noi siamo i furbi.
Magna Graecia capta ferum victorem cepit, per parafrasare Orazio. Peccato però che il Regno di Franceschiello fosse la Magna Grecia solo da un punto di vista geografico e che la tempra culturale imperante apparisse un tantino diversa. Ma sufficiente, a quanto pare, ad imporsi, col tempo, in tutta Italia.
Vivere di rendite parassitarie (cosa c’è di più parassitario degli incentivi pubblici all’eolico?) è bellissimo, a patto però che non tutti facciano i furbi, altrimenti sarebbero guai. E infatti sono guai.
Questa greve vicenda di furbesche incentivazioni non è certo un fulmine a ciel sereno nel panorama nazionale della politica degli ultimi decenni ed il disastro economico e finanziario incombente sul Paese non è sicuramente frutto di un singolo episodio, della mala sorte o dell’azione perversa di qualche creatura diabolica, meglio se immaginata straniera.
Confidiamo che gli italiani, riflettendo nelle ambasce della crisi prossima ventura, possano rinsavire e ritornino ad essere più saggi nella scelta dei loro rappresentanti istituzionali e più rigorosi nella selezione delle loro classi dirigenti.
Alberto Cuppini
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