Addio al 2012. Addio al Governo Monti. Addio alla SEN?

Alcuni suggerimenti per il prossimo Esecutivo. O, più semplicemente, per dire qualcosa di nuovo in campagna elettorale.

 La brusca conclusione anticipata dell’avventura del Governo tecnico ha scongiurato la pubblicazione, preannunciata dal Ministro Passera entro la fine di dicembre, del testo definitivo della Nuova Strategia Energetica Nazionale, verso la quale siamo stati fortemente critici fin dall’inizio:  ‘La “Nuova Strategia Energetica Nazionale”. Brutte notizie per l’Italia‘ , non per negare la necessità di disporre di una strategia nazionale ben delineata in quel settore, ma per come tale documento era stato concepito.

Per questo motivo la Rete della Resistenza sui Crinali aveva seguito con partecipazione, nelle ultime settimane, le voci fuori dal coro del dogma delle rinnovabili elettriche buone per definizione ed a qualunque costo, che si erano ritrovate in occasione della quarta conferenza nazionale sull’efficienza energetica organizzata a Roma dagli Amici della Terra lo scorso novembre.

Ed in particolare, tra queste voci, avevamo dedicato la nostra attenzione agli interventi di Rosa Filippini

Angelo Spena

Agostino Conte

e Chicco Testa

Proprio dalle parole pronunciate da Testa in quell’occasione, per la grande capacità di sintesi, ricavo il motivo principale della nostra opposizione alla SEN (ripeto: così come è stata concepita):

“Mi sembra che qualche volta ci sia un po’ di sovrapposizione tra obiettivi di ordine metodologico ed obiettivi di ordine quantitativo. Cioè si indicano obiettivi e metodi per raggiungerli ma qualche volta c’è un po’ di pianificazione che pare contrastare con questo atteggiamento aperto. Uno dei casi è quando, per le rinnovabili, si dice che l’obiettivo è 130 TWh. Ma chi l’ha detto? Magari in un regime diverso può darsi che possano essere di più o che possano essere di meno. Se dici 130 poi li devi fare. Quindi c’è il rischio che tu debba tirare fuori ancora incentivi per arrivare a 130. Ma è solo un esempio…”

Eppure è proprio quello che a noi premeva di più. A maggior ragione premeva perchè, in realtà, la sensazione che si ricavava dalla lettura del testo della bozza della SEN è che il fine ultimo per il quale essa era stata scritta, immerso in un testo molto lungo e ridondante, fosse quello di garantire, con un meccanismo di incentivazione rotativo e perenne di 12,5 miliardi all’anno, una fonte eterna di rendita agli speculatori delle rinnovabili elettriche, da giustificare sotto forma di obiettivi ben superiori a quelli già abnormi previsti dal Piano di Azione Nazionale presentato all’Unione Europea nel 2010. In questi anni il settore si è distinto per le crescite esponenziali, in una rincorsa senza fine tra obiettivi energetici obbligatori, in crescita costante per le FER elettriche, nuovi stanziamenti per raggiungere tali obiettivi e poi obiettivi di volta in volta superiori per giustificare queste maggiori spese a carico delle bollette elettriche. E così via, in una spirale senza fine… In particolare la cosa ci preoccupava perchè, ormai raggiunto il tetto massimo di spesa per il fotovoltaico, gli aumenti di produzione elettrica, previsti al 36-38% dei consumi, rischiavano di finire concentrati nell’eolico. Industriale.

L’assurdità, oltre che l’onerosità, del sistema incentivante viene resa ancora più odiosa per il fatto che la “filiera” dei beneficiari di questo meccanismo perverso (la lobby dei produttori esteri dell’hardware, gli speculatori italiani che comperano le macchine all’estero, i proprietari dei terreni dove le macchine sono collocate, i sensali delle autorizzazioni, i politici che vedono in questo turpe commercio della porzione del territorio patrio che amministrano una fonte inesauribile di finanziamento, i tecnici che forniscono studi sempre positivi, ad usum delphini, sui molteplici impatti ambientali degli impianti, gli ambientalisti-imprenditori eccetera eccetera) opera una selezione al contrario, necessariamente basata sulla spregiudicatezza e la brama di un facile arricchimento predatorio, anzichè sulle capacità personali e l’attenzione agli interessi comuni di lungo periodo, richiamando nel settore, tra pericolosissime sovrapposizioni di ruoli, il peggio di quest’Italia, che non sarà certo ricordata dalla posterità per il proprio rigore etico, ed istigandone vieppiù i comportamenti amorali sotto l’indulgente velame del buonismo ambientalista.

Ogni limite della decenza è stato superato. Recentissimamente una voce autorevole (Riccardo Ruggeri, ex amministratore delegato della New Holland ed ora editore) ha evocato, per il settore, una nuova “Mani pulite”: “… sarà una grande soddisfazione … assistere a quando scoppierà la Mani pulite delle energie rinnovabili.” (Non c’è differenza fra le mafie russo-cinesi e quelle che truccano libor, euribor e spread)

Ruggeri afferma esplicitamente, nell’articolo di Italia Oggi: “paghiamo assurde tangenti psicologiche e reali a coloro che stanno distruggendo questo nostro meraviglioso paese con orrende pale eoliche e oscene batterie di pannelli solari”. E’ questa, come noto, anche la nostra massima preoccupazione. In questi termini, la frase di Ruggeri sembra una delle mail di denuncia scritte da tutta Italia alla Rete della Resistenza sui Crinali.

Ora, con l’archiviazione (temporanea?) della SEN (di quella SEN) il rischio concreto di una ulteriore deriva verso il peggio è stata bloccata: niente più obiettivo al 36-38% per la produzione delle rinnovabili elettriche sui consumi al 2020, niente obiettivi di produzione a 130 TWh e niente 12,5 miliardi all’anno per vent’anni garantiti con un credito rotativo di fatto obbligatorio. E tanto altro ancora…

Si ritorna perciò alla situazione ex ante. L’ultimo testo di legge approvato in materia (il decreto esecutivo del luglio 2012 sulla modifica del sistema incentivante) afferma (art. 1): “Il presente decreto ha la finalità di sostenere la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili attraverso la definizione di incentivi … in misura adeguata al perseguimento dei relativi obiettivi, stabiliti dai Piani d’azione per le energie rinnovabili…” Solo quegli obiettivi già fissati, dunque. Nessun’altra finalità salvifica (o mefistofelica?) per le FER elettriche.

E l’obiettivo della produzione da FER elettriche, a cui fa riferimento il citato articolo del decreto, fissato dal Piano di Azione Nazionale (PAN) del 2010 al 26,39% dei consumi, è stato abbondantemente raggiunto (anche senza considerare le importazioni, che pure dovrebbero essere comprese) e superato. Non sussistendo obblighi, come recita più volte esplicitamente il testo del PAN (“Non sono fissati obiettivi legati specificatamente ad una tecnologia.” e “Non sono fissati obiettivi/obblighi annui distinti per tecnologia”), i valori indicati per le singole tecnologie (e quindi anche per l’eolico) devono essere considerati solo delle indicazioni, ormai decadute per l’avvenuto raggiungimento dell’obiettivo finale. A questo punto il prossimo Governo dovrebbe concentrare sforzi ed incentivi sui settori del riscaldamento/raffreddamento e dei trasporti, i cui obiettivi al 2020 sono ancora lontani. Di questo, e non di altro, si dovrebbe tenere conto in una futura SEN.

C’è però un rischio concreto: dalla lettura del testo della bozza della SEN sono facilmente distinguibili due mani differenti, con un effetto schizofrenico (voluto?), o di sdoppiamento della personalità del legislatore. La prima mano rigorosa, attenta ai costi ed ai ricavi e conscia degli innumerevoli problemi che potrebbero derivare da scelte avventuristiche sulle rinnovabili oltre una certa misura. La seconda (apparentemente) ideologizzata, che si esprime con parole d’ordine, europeista nel senso più sgangherato del termine (le lobby sono in azione anche in Europa, come la prima mano fa notare: “Spesso le associazioni di settore italiane svolgono azioni di lobby nei confronti dei soggetti comunitari, creando situazioni di promozione di interessi di settore a scapito dell’interesse generale del Paese”), e chiaramente interessata ad interessi particolaristici di breve periodo. Non vorremmo che la dipartita di Passera ed il sovvenire di un altro Ministro dello Sviluppo economico meno sensibile agli equilibri tra costi e ricavi permettessero alla seconda mano ministeriale di prendere il sopravvento in futuro. Le logiche produttivistiche di Passera in molti casi (l’incremento dell’estrazione petrolifera nel Paese, ad esempio, la trasformazione dell’Italia nell’hub del gas per il sud Europa, l’utilizzo della produzione in eccesso delle rinnovabili per l’esportazione e la rinuncia alle importazioni per favorire i produttori nazionali), sebbene deprecabili per tutta una serie di motivi logici ed ambientali, garantivano almeno l’attenzione verso chi paga, quanto paga e perchè. Ora rischiamo che anche questa attenzione venga meno e si torni al sistema precedente, voluto dalle lobby, degli “incentivi fai da te” senza controlli. Sappiamo per esperienza che al peggio non c’è limite.

Intanto appaiono sui giornali le prime anticipazioni di sintesi, per l’anno appena trascorso, sui costi di questo sistema, sulle sue inefficienze, sulla crisi economica (di cui esso è una causa non trascurabile) e sulla diminuzione dei consumi elettrici. I fatti ci stanno dando ragione circa i nostri timori. Ne facciamo solo un accenno, riservandoci di dedicare ai singoli argomenti, nei prossimi mesi, analisi ben più approfondite.

Costi del sistema incentivante: l’unico dubbio sull’entità della spesa per i soli incentivi alle FER elettriche è se questa sia stata contenuta, nel 2012, entro gli 11 miliardi o se abbia già superato tale soglia, nemmeno ipotizzabile dai più pessimisti non più tardi di un paio di anni fa. Il costo dei soli incentivi si avvicina rapidamente al prezzo di mercato (in discesa) di tutta l’energia elettrica prodotta in un anno in Italia!

Lo scorso anno il parco termoelettrico italiano, ampiamente rinnovato durante il primo decennio del Duemila, ha realizzato (fonte: Assoelettrica) un tasso medio di esercizio sulle 3.000 ore annue, mentre potrebbe lavorare per 7.500 ore. Il settore è in stato pre-agonico, costretto a racimolare margini di ricavi negli orari in cui, fino ad un paio di anni fa, i prezzi dell’energia prodotta erano i più bassi, ed attende a propria volta sussidi statali (il capacity payment): le rinnovabili intermittenti non rappresentano infatti un’alternativa agli impianti tradizionali, che devono perciò rimanere costantemente accesi (ma non produttivi) e pronti a subentrare, ma costituiscono piuttosto, allo stato della tecnologia, un elemento parassitario del sistema elettrico.

Il PIL italiano è diminuito di oltre il 2%. Si attendono i dati del quarto trimestre per sapere di quanto è diminuito oltre il 2%, onde determinare se il 2012 è stato, per l’economia, il secondo oppure il terzo peggior anno nella storia dell’Italia repubblicana. L’anno peggiore in assoluto è stato il 2009, l’anno della “Grande Recessione” mondiale, a testimonianza che le crisi economiche, in Italia, si succedono con sempre maggiore frequenza. Quest’anno la drammatica crisi ha avuto però origini esclusivamente endogene. Le esportazioni sono andate benissimo ed hanno limitato i danni inflitti agli investimenti ed ai consumi interni dall’aumento della tassazione, che ha ormai collocato l’Italia ai vertici di questa classifica mondiale. Gli incentivi alle rinnovabili sono una ulteriore forma di tassazione, anche se sottratta al controllo democratico e della Magistratura contabile, celata nelle bollette elettriche, ormai utilizzate dalla politica come un sistema fiscale alternativo (non solo loro: ci sono molteplici sistemi fiscali alternativi in Italia che contribuiscono a far aumentare fino a livelli di autentica espropriazione, come gli italiani che lavorano ben sanno, la percentuale effettiva del prelievo fiscale sul reddito realizzato, fissata ufficialmente ad “appena” il 45%).

I consumi interni annui di energia elettrica sono diminuiti di circa il 3%, ossia, grosso modo, di 10 TWh (secondo peggior risultato dell’Italia repubblicana, dopo quello del 2009). E questo nonostante il prezzo dell’energia elettrica sui mercati sia in brusco calo, calo che in queste settimane si sta accentuando: il valore medio nelle prime due settimane dell’anno è ormai inferiore del 21% rispetto al 2012, ma le bollette sono aumentate, a causa degli incentivi alle rinnovabili, in modo abnorme e la consistente diminuzione dei prezzi di mercato dell’energia riesce appena ad intaccare tali aumenti.

La combinazione di questi sommovimenti, unita alla installazione di molte migliaia di MW (ancora da precisare) di impianti FER elettrici lo scorso anno, ha permesso il raggiungimento del grottesco risultato (grottesco a maggior ragione perchè realizzato durante una drammatica crisi economica) che il potenziale elettrico installato in Italia è ormai il triplo della massima potenza richiesta nei momenti di picco. Ma, nonostante questa irrazionale pletora di Mega Watt, stante l’inaffidabilità dei nuovi impianti non programmabili, non viene neppure garantita l’autosufficienza elettrica del Paese.

Il rapporto tra produzione di energia elettrica da FER rispetto ai consumi interni (fissato dal PAN al 26,39%) promesso dall’Italia per il 2020 all’Unione Europea è stato già ampiamente raggiunto e superato. Anzi, paradossalmente, con la diminuzione dei consumi elettrici realizzata nel 2012, il 26% sarebbe stato superato anche con la produzione da FER elettriche del 2011. Pensate: un obiettivo onerosissimo che il Governo italiano aveva promesso nell’autunno del 2010 per il 2020 era già stato raggiunto l’anno dopo! Uno zelo degno di miglior causa, che viene ignorato per le cose veramente importanti, e che quindi, a maggior ragione, fa pensare malissimo. E’ probabile che, anche senza ulteriori diminuzioni della domanda interna di energia elettrica (che pure è ragionevole prevedere), la produzione di FER elettriche nel 2013, anche senza nuove installazioni e per la sola andata a regime degli impianti installati nel 2012, supererà il 30% dei consumi interni! Basta incentivi, quindi, e soprattutto: BASTA INCENTIVI ALL’EOLICO INDUSTRIALE.

Tra l’altro, questo enorme elemento di costo dell’energia elettrica, unito all’instabilità delle forniture delle rinnovabili intermittenti ed alla impossibilità di garantire i paramentri elettrici nella norma, accentua la ormai avviata deindustrializzazione dell’Italia che, nell’autunno dell’anno scorso, aveva perso il 24% del fatturato industriale dai massimi che realizzava non più tardi del 2007. Si può dire, per semplificare, che è sparito un quarto dell’industria italiana in un batter d’occhio. Il morale degli imprenditori italiani è quello di un esercito sconfitto. Intanto il Quartier Generale spara loro addosso non solo con tasse sempre più opprimenti, ma anche con provvedimenti di accertamento fiscale che ledono i più elementari diritti civili, oltre che il buon senso. La disoccupazione dilaga, appena mascherata da nuovi contratti di lavoro che sarebbero fuori legge in tutto il mondo civilizzato. Gli obblighi di bilancio impediscono le opportune azioni di ammortizzazione sociale. Eppure i soldi per gli speculatori delle rinnovabili, che contribuiscono a questo disastro, non mancano mai, sebbene il settore sia capital oriented anzichè employment oriented.

Nei giorni scorsi l’ANEV, l’associazione confindustriale degli eolici, di fronte ad una partecipazione alle aste al ribasso che non ha raggiunto (per poco, secondo le anticipazioni della stessa ANEV che sono verosimili ma dovranno essere confermate ufficialmente nelle prossime settimane) il contingente previsto, come appunto il Governo si proponeva per ridurre un poco la spesa per gli incentivi, ha impudentemente chiesto a gran voce un nuovo aumento degli incentivi stessi, confidando nella permeabilità dei politici a promettere regali di ogni tipo in campagna elettorale.

Ma, proprio perchè siamo in campagna elettorale, è ormai tempo che anche le altre imprese, in primis le elettriche, i consumatori e le loro associazioni (finora mai intervenute su questo scottante e importantissimo problema) e, soprattutto, i giovani dicano la propria e rivendichino i propri interessi, palesemente opposti a quelli dell’ANEV.

Non è mia intenzione tornare su argomenti già trattati nei post precedenti, già citati nell’introduzione. Per esigenza di sintesi qui basta accennare a pochi temi. Ognuno di essi, da solo, sarebbe un programma di Governo per la prossima legislatura: la ricerca nel settore dell’energia, la razionalizzazione dello sfruttamento delle risorse idriche (partendo dalla ristrutturazione degli impianti idroelettrici già esistenti) e la lotta agli sprechi, il miglioramento dei trasporti pubblici, l’incentivo alle tecnologie per il telelavoro di massa, la ristrutturazione edilizia in materia di sicurezza e di efficienza energetica eccetera eccetera.

Dimenticavo, dopo la diffusione degli esiti concreti del protocollo di Kyoto e dei dati disastrosi sull’aumento (+ 50%!) delle emissioni globali di CO2 dal 1997, quando il protocollo è stato sottoscritto: tasse sui prodotti inquinanti dei paesi inquinatori, non importa se si tratta di paesi in via di sviluppo o meno. Se esiste davvero un problema di emissioni clima alteranti, e se questo problema è davvero primario e se deve essere risolto a tutti i costi, non hanno senso i distinguo politicamente corretti, e tutti gli eccessi devono perciò essere combattuti. Va dunque abbandonato l’ipocrita slogan delle “comuni ma differenziate responsabilità” che permettono, in realtà, le più vergognose pratiche di dumping ambientale (e non solo) a India e Cina (e non solo) ed il trasferimento puro e semplice della produzione industriale dall’Europa (che attua politiche come quella delle FER elettriche costose ed autolesionistiche) all’Asia, con risultati finali complessivi ancor più dannosi dell’inazione per l’atmosfera nel suo complesso.

La prossima SEN dovrebbe limitarsi, come auspicato da molti durante le recenti consultazioni al MISE, solo al quadro regolatorio, alla strategia (appunto…) ed alla definizione dell’approccio sistemico al problema (magari precisando, come avrebbero dovuto fare, e non hanno fatto, le linee guida nazionali sugli impianti FER elettrici, in modo cogente i vincoli territoriali, ambientali, paesaggistici eccetera), e non trasformarsi in un piano quinquennale da regime comunista, a vantaggio delle lobby, come la bozza ormai decaduta faceva temere. Non è necessario (e neppure possibile) realizzare tutto. Basterebbe inquadrare, nella prossima legislatura, il problema complessivo e raggiungere anche un solo obiettivo programmatico.

Personalmente sarei soddisfatto (in realtà sarei entusiasta e persino più entusiasti sarebbero gli italiani più giovani di me) se, tra cinque anni, il Corriere della Sera pubblicasse un altro articolo con i termini rovesciati rispetto a quello di un anno e mezzo fa: Energia: siamo i primi nella ricerca e gli ultimi negli incentivi“.

Alberto Cuppini

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