Già pronti altri soldi pubblici da sperperare per l’eolico industriale

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Ormai non è più sufficiente nemmeno una spesa già acquisita per incentivi alle FER elettriche prevista in 15 miliardi annui nel 2016. Nelle stanze del potere romano sparisce anche la vergogna: dopo che tutti gli obiettivi di produzione vincolanti sono stati superati a costi sanguinosi, dopo il decreto spalma-incentivi per ridurre il peso insostenibile degli incentivi in bolletta, dopo che l’Europa ha appena ribadito che per il 2030 la produzione da rinnovabili non sarà un obiettivo vincolante per i singoli Paesi, ecco che arriva dal Sottosegretario allo Sviluppo Economico De Vincenti l’annuncio di un “decreto tampone” che riapre, tra l’entusiasmo dei lobbysti e senza neppure più un motivo valido, la borsa governativa. Sembra il gioco delle tre tavolette, ma ormai l’unica cosa in gioco è l’avvenire dell’Italia. L’ambiguo ruolo del Ministro Federica Guidi e del Premier Renzi.

 Mai e poi mai ci saremmo aspettati una simile tracotante spudoratezza, in particolare subito dopo il gravissimo provvedimento retroattivo, conosciuto come decreto spalma-incentivi, di recente fortissimamente voluto dal Ministro allo Sviluppo Economico Federica Guidi, con l’avallo del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, per ridurre d’imperio l’onere degli incentivi alle rinnovabili elettriche in bolletta.

In occasione della presentazione di quel decreto, durante un question time al Senato, il Ministro Guidi precisava che si sarebbe trattato di «un sistema di redistribuzione equa di alcune sperequazioni che erano presenti nel nostro sistema». «Chiederemo naturalmente – aggiungeva allora il Ministro – un piccolo sacrificio ad alcune categorie che, a nostro avviso, hanno percepito un po’ di più di quello che oggi ci possiamo permettere».

Nel medesimo frangente Matteo Renzi, che della riduzione del 10% della bolletta elettrica per le piccole e medie imprese aveva fatto un punto caratterizzante il suo programma politico, riservandogli una delle ormai famose slide presentate alla stampa dopo il primo Consiglio dei Ministri del marzo scorso, aveva addirittura affermato durante l’assemblea del PD del 14 giugno scorso, per coprire politicamente la Guidi in difficoltà di fronte alla reazione degli speculatori:

Abbiamo riempito di sussidi chi investiva sulle rinnovabili, ma il costo in bolletta lo hanno pagato gli italiani”.

Intendiamoci. Lo spalma-incentivi è solo una goccia recuperata nel mare degli incentivi alle FER elettriche: poche (pochissime) centinaia di milioni su una spesa già acquisita che nel 2016 ammonterà a 15 miliardi, pur senza gli incentivi ai nuovi impianti e senza contare i miliardi da spendere ogni anno per supportare le fonti rinnovabili non programmabili con nuove reti, nuovo capacity payment, oneri di dispacciamento eccetera. Ma, con quel decreto, era il principio che contava: quello di mettere un limite ad una spesa andata fuori controllo.

In attesa di un probabile aumento delle bollette in seguito all’aumento del prezzo dell’energia elettrica nelle ultime settimane, a maggior ragione sarebbe stato giustificato lo stop alla spesa per incentivi alle FER elettriche, dopo il raggiungimento in larghissimo anticipo degli obiettivi europei vincolanti per l’anno 2020. Anzi, la costosissima produzione da FER elettriche, che quest’anno si avvicinerà al 38% del fabbisogno nazionale, a scapito dei negletti settori dei trasporti e del riscaldamento (proprio dove risiedono le eccellenze industriali italiane), permetterà forse di raggiungere con sei anni di anticipo anche il totale del 17% nel rapporto della produzione da FER e consumi energetici totali italiani, che è il rapporto che ci vincola con l’Unione europea.

Ad ancora maggiore ragione non ci sarebbe stato bisogno di dilapidare altri quattrini pubblici dopo il vertice di Bruxelles, in cui si è messa per la prima volta in dubbio l’efficacia della politica europea di produzione obbligatoria da FER in presenza di un contemporaneo abnorme aumento globale di emissioni di gas clima-alteranti.

I lobbysti attendevano con ansia il Consiglio dei Ministri europei per avere la scusa, tramite la fissazione da loro auspicata di nuovi altissimi obiettivi vincolanti per ciascun singolo Paese, per battere subito cassa, contrariamente a quanto consigliava qualcuno più saggio.

Sappiamo come le loro brame siano rimaste deluse.

Pensavamo dunque che ormai più nessuno stesse pensando di mettere di nuovo mano ai portafogli degli italiani (o almeno non subito) per concedere ulteriori regali alla speculazione delle FER elettriche.

Errore!

Errore gravissimo di sottovalutazione dell’amoralità di un ambiente che pure i comitati di cittadini contro l’eolico industriale selvaggio avrebbero dovuto conoscere, per pluriennale esperienza diretta, anche troppo bene.

Un comunicato dal titolo “DM 6 luglio 2012 (FER Elettriche): tariffe incentivanti per gli anni 2015 e 2016“, improvvisamente comparso, del tutto inaspettato, mercoledì scorso nel sito web del GSE, ci aveva messi in apprensione. Ma quali tariffe incentivanti? Nel citato decreto del 6 luglio 2012 non erano previste altre aste oltre alle ultime già effettuate l’estate scorsa e gli obiettivi energetici alle quali gli incentivi erano puramente strumentali erano già stati tutti raggiunti. In particolare, una citazione sbagliata dello stesso testo di quel decreto fatta nel suo comunicato dal GSE (ma delle interpretazioni forzate del GSE ci occuperemo in un post a parte) aveva fatto scattare i segnali d’allarme dei comitati e delle associazioni nostre amiche.

Poi, per combinazione (…) appena due giorni dopo, Qualenergia, tra l’incredulità generale, comunicava: “Per le rinnovabili non FV, su tetto e fine incentivi in arrivo decreto tampone“.

Riportiamo l’introduzione dell’articolo di Qualenergia:

“Sugli incentivi alle rinnovabili elettriche “stiamo lavorando a una ridefinizione del tetto dei 5,8 miliardi, con un provvedimento tampone”, l’annuncio del viceministro allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti, è arrivato oggi dal convegno sugli obiettivi 2030 organizzato dal Coordinamento Free nell’ambito della fiera Key Energy di Rimini. “Abbiamo bisogno di accompagnare le rinnovabili alla grid parity anche perché è importante consolidare le filiere che si stanno formando in Italia”, ha aggiunto l’uomo del MiSE”.

Posto che negli uffici romani si dà ormai per scontato senza pudori, e contro la lettera della legge, che l’obiettivo da perseguire è far spendere agli italiani il tetto massimo annuo di 5,8 miliardi e non soddisfare i vincoli europei (già raggiunti) per i quali erano stati stanziati questi soldi, un Sottosegretario rassicura i “portatori di interessi” che, raggiunto il tetto di spesa, se ne fisserà subito uno più alto, lasciando intendere che non ci sarà mai fine alla grande abbuffata.

Sono due, questa volta, le pietosissime scuse che vengono accampate dal Viceministro De Vincenti per giustificare questa ennesima regalia all’eolico:

1) “l’accompagnamento” delle rinnovabili alla grid parity, il cui raggiungimento in Italia, per quanto riguarda l’eolico, è una bufala irrealizzabile senza incentivi eterni, come esplicitamente riconosciuto di recente dai suoi stessi sostenitori accademici e

2) “il consolidamento delle filiere che si stanno formando in Italia”. Ma quali filiere? Fortunatamente per l’eolico in Italia non esiste nessuna filiera industriale, perchè le mostruose pale di oltre cento metri che già affliggono il nostro paesaggio in modo intollerabile vengono prodotte da aziende straniere.

A meno che per “filiera” non si intendano le organizzazioni portatrici di non nobili interessi, che tanto lavoro hanno dato e danno alle forze dell’ordine ed alla Magistratura, come conferma, ad esempio, il recente caso della “filiera” P3, di cui parla l’articolo del Corriere della Sera di martedì scorso dal titolo “Corruzione sull’eolico” Verdini a processo nell’inchiesta della P3“, dove tra l’altro si legge che “Verdini e soci … interferivano sulla nomina di «rappresentanti e dirigenti di enti locali, in particolare della Regione Sardegna, per ottenere la nomina, in cariche amministrative apicali, di persone gradite al sodalizio e così favorire il rilascio a imprese da loro gestite di concessioni nel settore della produzione delle energie rinnovabile (l’eolico ndr )».

Oppure il caso della “filiera” Scajola (proprio uno dei predecessori della Guidi come Ministro dello Sviluppo Economico) – Matacena – Fera di cui scrive il Corriere della Calabria nell’articolo di venerdì scorso, a firma Alessia Candito, dal titolo “Caso Scajola: anche Burlando tra i testimoni a difesa dell’ex ministro“.

Apprendiamo dall’articolo che “per l’accusa saranno chiamati in aula a testimoniare diverse persone fra cui l’ex ufficiale dell’Aisi a Dubai, Paolo Costantini, il presidente della Casa della legalità di Genova, Christian Abbondanza, ma anche Luca Salvi, uno dei soci della Fera srl – azienda finita al centro di diversi approfondimenti investigativi anche per quel finanziamento di 5,9 milioni di euro ottenuto nel gennaio 2009, proprio quando a gestire i milionari investimenti per l’innovazione tecnologica era Scajola –, Yara Colombo, ex compagna di Cesare Fera e gola profonda sui rapporti dell’uomo con Matacena. Proprio l’eolico – teatro di strani intrecci che vedono a vario titolo intervenire il triangolo composto dall’ex ministro, Chiara Rizzo e il marito Amedeo Matacena, variamente accompagnati da finanziatori e partner – sembra essere il campo di maggiore interesse della pubblica accusa. Un segnale che le difese non hanno esitato a cogliere, se è vero che in aula hanno chiesto e ottenuto di chiamare a testimoniare, Cesare Fera, patron dell’omonima impresa – in passato lambita dalle indagini “Eolo” e “Golem 3″, condotte dalla Dda di Palermo – l’ex assessore all’Ambiente della Regione Liguria, Franco Zunino, sotto il cui mandato ha visto la luce il parco eolico della Rocca, costruito proprio dalla Fera srl nel comune di Pontinvrea, in provincia di Savona, e inaugurato da Maria Teresa Verda – la moglie di Scajola – lì convocata in veste di madrina e il dirigente del ministero dello Sviluppo Economico, Gilberto Dialuce.”

Ma ciò che adesso più conta sapere è: Il Ministro Federica Guidi è informata di questa iniziativa del GSE e del “decreto tampone” annunciato dal suo Sottosegretario? Oppure questa decisione di finanziamenti alle FER elettriche senza – di fatto – più alcun limite (che se attuata la coprirebbe di ridicolo dopo tante sue roboanti affermazioni per contenere la spesa per le bollette elettriche) è stata presa alle sue spalle e lei stessa verrà messa davanti al fatto compiuto?

Insomma: si tratta di stabilire se la Guidi sia la Penelope che di giorno tesse la tela per aiutare le piccole e medie imprese soffocate dal costo dell’energia elettrica e di notte la disfa per fare i regali ai lobbysti delle rinnovabili elettriche facendoli pagare ai consumatori, oppure, più semplicemente, sia un ennesimo Re (pardon: Regina) Travicello.

In entrambi i casi, però, si conseguirebbe una grande conquista civile per ciò che riguarda la parità tra i sessi in Italia: il Ministro Guidi dimostrerebbe che nel nostro Paese (e nei Palazzi romani in particolare) le donne, comprese quelle provenienti dalla celebrata “società civile”, sono capaci di calarsi le braghe di fronte alle pretese dei Poteri Forti come e più dei loro predecessori uomini, professionisti della politica.

Sarebbe un sollievo, perchè oggi, mentre l’economia italiana sta affondando e con essa la Repubblica democratica fondata sul lavoro, sono proprio queste posizioni di principio, come la parità di genere, che sembrano davvero interessare ai partiti e all’opinione pubblica.

Se la Guidi fosse d’accordo con questa bella e tempestiva trovata di De Vincenti e del GSE si potrebbe addirittura pensare il peggio. Cioè che ci siamo trovati di fronte, fin dall’esordio del Governo Renzi, ad una autentica sceneggiata e persino che lo sgangherato provvedimento retroattivo spalma-incentivi sia stato adottato in quella forma mal concepita, anzichè fare ricorso alla pura e semplice tassazione degli incentivi in eccesso (come suggerivano, tra gli altri, economisti del calibro di Alesina e Giavazzi  e le associazioni che si oppongono alla speculazione dell’eolico industriale), proprio con la precisa finalità di vederselo annullare dalla giustizia amministrativa, sulla quale si sta già rovesciando una pioggia di ricorsi. Si salverebbero così la faccia del Governo, che avrebbe dimostrato la ferma volontà di limitare le rendite speculative senza riuscirci per colpa di altri poteri dello Stato, e, insieme, i privilegi della grande speculazione.

Ma tornando alle storie di Penelope e del Re Travicello: i lobbysti delle rinnovabili elettriche, che tanto stanno contribuendo al disastro dell’economia italiana, sanno che cosa è successo alla fine sia ai proci di Itaca che alle rane dello stagno?

Alberto Cuppini

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3 risposte a Già pronti altri soldi pubblici da sperperare per l’eolico industriale

  1. tamerlano ha detto:

    “…si potrebbe addirittura pensare il peggio. Cioè che ci siamo trovati di fronte, fin dall’esordio del Governo Renzi, ad una autentica sceneggiata e persino che lo sgangherato provvedimento retroattivo spalma-incentivi sia stato adottato in quella forma mal concepita, anzichè fare ricorso alla pura e semplice tassazione degli incentivi in eccesso (…), proprio con la precisa finalità di vederselo annullare dalla giustizia amministrativa, sulla quale si sta già rovesciando una pioggia di ricorsi. Si salverebbero così la faccia del Governo, che avrebbe dimostrato la ferma volontà di limitare le rendite speculative senza riuscirci per colpa di altri poteri dello Stato, e, insieme, i privilegi della grande speculazione.”
    Non può essere che così, se pensiamo alla scarsa propensione per la trasparenza (e per la tutela della piccola e media imprenditoria) da parte dell’attuale presidente del consiglio, i cui primi anni di carriera politica sono stati per altro… accompagnati dal fervore delle lobby eoliche.

  2. licaone ha detto:

    La situazione NON consente a nessuno di dormire sonni tranquilli: neppure a chi ha visto la bocciatura del progetto di impianti previsti sopra casa propria.
    La truffa (colossale) che gira intorno agli incentivi alle energie rinnovabili è solo un aspetto di una situazione molto più critica di quanto non appaia.
    Attenzione: utilizzare le bollette per prelevare risorse, cioè soldi (molti), dai soggetti meno forti e/o meno coesi (privati, famiglie, PMI, cioè piccole e medie imprese) e convogliarli altrove (sarebbe bello chiedere precisamente dove…), con la copertura della tutela ambientale, è un meccanismo (geniale nella sua semplicità) che ha dimostrato di funzionare TROPPO bene per essere abbandonato.
    Sul versante della comunicazione di questo stato di cose, un problema fondamentale è proprio quello della copertura di questi meccanismi perversi con il comodo pretesto dell’istanza ambientale, o presunta tale.
    Per questo un’iniziativa di stampo prettamente ambientalistico continuerebbe a risultare enigmatica alla più gran parte dell’opinione pubblica e dei giornalisti stessi. Che, fatti salvi alcuni, per lo più giovani, spesso condividono una discreta ignoranza con i loro stessi lettori. Senza dimenticare la prontezza con cui un certo pseudoambientalismo (ambiguo, potente e capillare) sa farsi paladino di certe speculazioni.
    Parrebbero invece indispensabili un coinvolgimento diretto e un’azione forte (da appoggiarsi, chiaro) da parte della PICCOLA imprenditoria. Proviamo a pensare alla bolletta elettrica di una lavanderia, di un forno, di un ristoratore, di un’officina meccanica, e alle mille difficoltà che che incontrano queste imprese e i loro dipendenti. C’è da temere però che costoro non troverebbero una buona testa di ponte nel ministro Guidi. Non sappiamo infatti, nell’esercizio delle rispettive deleghe, quanta libertà di manovra le lasci il premier. E possiamo in ogni modo supporre, per entrambi, una scarsa propensione a intaccare gli interessi della GRANDE imprenditoria, cioè quella che, più o meno direttamente, si alimenta cospicuamente di quegli incentivi che arrivano, in larga parte, dal dissanguamento delle lavanderie ecc. ecc.
    Sia come sia, farebbe comunque notizia una sorta di spaccatura fra i “piccoli” e i “grandi” imprenditori proprio su questi temi, spaccatura che di fatto sembra già latente, ma non emerge a livello mediatico (lavandai e officine meccaniche non possiedono tv e quotidiani). Senza dimenticare che la piccola/media imprenditoria, in Italia, è un bacino di voti di non poco conto e forse meno colpito di altri dalla sindrome della rassegnazione elettorale.
    Teoricamente anche le associazioni di consumatori/utenti potrebbero avere la loro da dire: le bollette le paghiamo TUTTI, compreso chi è disoccupato, esodato, precario o in cassa integrazione (una volta si diceva “povero”). Ma da questi fronti non appaiono significative consapevolezze della situazione, o sufficienti motivazioni a prendere posizione.
    Manca quindi il coinvolgimento di soggetti in grado di tutelare, anche con iniziative di presa mediatica, gli interessi di categoria delle PMI, che sono poi quelli di molti italiani.

  3. comitato difesa paesaggio ha detto:

    Anche le associazioni dei consumatori sembra non capiscano la situazione in cui le famiglie si stanno trovando con queste bollette elettriche salate, NONOSTANTE i tantissimi impianti eolici e i pannelli fotovoltaici a terra che si sono costruiti finora e che (teoricamente) avrebbero dovuto fare diminuire le bollette, stante il fatto che veniva propangandata come energia pulita, verde e da un prodotto che non costa nulla (vento e sole). Inoltre anche alcune associazioni di categoria di commercianti e imprese si sono schierate per continuare sulla scia degli incentivi, come pure una associazione sindacale, dichiarando che così si mantengono dei posti di lavoro; mentre non capiscono che si mantengono (con sussidi) dei posti di lavoro, MA MOLTI DI PIU’ SE NE PERDONO per la chiusura di fabbriche e imprese che non ce la fanno a sostenere dei costi proibitivi per la produzione industriale, i consumi elettrici e le altre imposte.
    Se togliamo l’aggettivo “green” utilizzato spesso a sproposito, ci rendiamo conto di quale enorme speculazione economica, finanziaria e bancaria si sta attuando. Gli incentivi esorbitanti sono stati assegnati a grandi imprese che hanno utilizzato materie prime provenienti da altri paesi come la Cina, la Germania e la Danimarca o la Spagna. La filiera del grande eolico non è italiana.
    Assistiamo poi al finanziamento da parte del sistema bancario di ingenti prestiti milionari, anche a favore di ditte che hanno un capitale di 10000 euro, proprio perchè con gli incentivi erogati dallo Stato e sicuri perchè prelevati da tutti i cittadini italiani, possono nel giro di pochi anni rientrare dalle spese e lucrare per altri 10 anni. E’ un sistema che sta danneggiando la piccola e media impresa e pesa sul reddito delle famiglie italiane. Inoltre ha impedito che si investissero risorse su altri settori, sull’efficienza energetica, sugli impianti solari sugli edifici, sull’efficientamento degli impianti obsoleti e sulle coibentazioni. Anche il panorama politico è incerto su cosa fare e anzi quasi tutti continuano con la tiritera dell’affrancamento dalle risorse fossili e dal indipendenza rispetto alle importazioni estere. Nessuno si rende conto che quasi tutta la produzione industriale, la forza motrice delle macchine, i mezzi di trasporto, le auto private, i riscaldamenti domestici, continuano a funzionare con gli idrocarburi e non è continuando ad incentivare la costruzione di centrali per la produzione di elettricità che si risolve la questione.

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