Abracadabra!

Il pensiero irrazionale si sta radicando nella politica italiana e il settore dell’energia non fa eccezione. In particolare l’elettricità, da produrre nel 2030 soprattutto con… i mulini a vento! Sarà la magia a superare le contraddizioni della nuova Strategia Energetica Nazionale?

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Il 4 ottobre scorso, in occasione della relazione annuale del presidente dell’AEEG, il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda (foto a sinistra) ha comunicato che la SEN sarà promulgata entro fine ottobre, in netto anticipo rispetto a quanto previsto. Se si considera che “la SEN (Strategia Energetica Nazionale) sta ora affrontando un passaggio in Parlamento”, è molto probabile che le pubbliche consultazioni, conclusesi appena il 12 settembre scorso, non abbiano modificato la struttura del documento governativo originale se non marginalmente. Se così fosse, le tanto sbandierate “pubbliche consultazioni” sarebbero state solo una sceneggiata di basso democraticismo. E’ solo una deduzione, ma, oltre al troppo breve intervallo di tempo lasciato agli uffici per esaminare la massa di osservazioni ricevute ed elaborarle nel documento finale, ci sono altri segnali poco incoraggianti per chi si attendeva miglioramenti del testo.

E’ sempre più evidente che il fine ultimo della nuova SEN non è quello di fornire un autorevole atto di indirizzo politico in un settore vitale dell’economia nazionale, che certamente non può essere realizzato in extremis da un governo a fine legislatura, quanto piuttosto di essere il passe-partout per raggiungere obiettivi inverosimili in materia (soprattutto) di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non programmabili.

I tempi per realizzare questa bella impresa sono strettissimi. Come recita il testo stesso, lo sviluppo della SEN 2017 è propedeutico alla preparazione del Piano Nazionale energia e clima, la cui prima versione dovrebbe essere trasmessa alla CE entro il primo gennaio 2018. Nel Piano Nazionale energia e clima verranno tradotti in cifre gli obiettivi italiani al 2030 illustrati nella Strategia Energetica ed in particolare quelli della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che appaiono, per l’entità sproporzionata dei costi sottesi, il vero traguardo a cui si punta. Se lo spirito del testo sottoposto a consultazione dovesse essere mantenuto, ci dobbiamo attendere, in prospettiva 2030, l’installazione di una quantità stragrande di pale eoliche. Il successivo Piano Nazionale, se approvato (come sarà approvato) dalla CE, diventerebbe infatti vincolante per l’Italia e renderebbe tale installazione (cha la bozza della SEN fa vagheggiare pressochè a costo zero), di fatto, obbligatoria. Si dovranno quindi costruire a tutti i costi impianti eolici dappertutto. “A tutti i costi” si deve intendere sia in senso stretto (come esborso finanziario per la collettività) sia in senso metaforico. Perciò, crediamo di potere anticipare, con l’allentamento dei vincoli ambientali e paesaggistici ed il superamento di “beghe” di tipo amministrativo come l’ordinamento che serve a tutelare i nostri crinali. “Ce lo chiede l’Europa…”. E ancora: “Che cosa sono i regolamenti in confronto alla salvezza del Pianeta?”.
La strategia di aggiramento della legislazione nazionale (e quindi della sovranità) attraverso leggi, regolamenti e direttive redatte da soggetti comunitari, su cui influiscono lobby potentissime, è d’altronde ormai consolidata. Del pari, la tattica dei governi italiani, utilizzata sempre più di frequente negli ultimi anni nei più svariati settori, di fissare obiettivi di politica nazionale inaccettabili in prospettiva futura ma graditi all’esecutivo in essere, e poi di renderli intangibili agli eventuali governi italiani successivi – potenzialmente ostili – tramite il crisma dell’Unione è ormai una prassi sempre più ricorrente, sebbene faccia carne di porco del principio democratico dell’alternanza politica.
Se tutto andrà come temiamo, il Piano Nazionale energia e clima fornirà i chiodi con cui sigillare la bara del settore energetico italiano e, insieme, del paesaggio appenninico che gli italiani sono abituati ad ammirare.
Le lobby sono mobilitate per l’ultimo sforzo. Un “uragano di irragionevolezza”, per prendere a prestito le parole di Paolo Mieli a riguardo delle recenti conferenze globali sui cambiamenti climatici (le misticheggianti “COP”), si sta abbattendo sull’Italia. Qualora fosse davvero così, tutto sarebbe stato inutile.
Inutili gli argomenti di Aldo Pizzuto, direttore del dipartimento Fusione nucleare dell’Enea nell’intervista all’ANSA del 20 maggio scorso:

Gli scenari che da qui a 40-50 anni vedono nelle fonti rinnovabili una copertura del fabbisogno energetico del 100% sono tecnicamente impossibili. I modelli più realistici prevedono una penetrazione del mercato energetico da parte delle rinnovabili pari al 30%, mentre il restante 70% resterebbe ai combustibili fossili: uno scenario non compatibile con gli impegni internazionali che puntano a ridurre la CO2, a meno che non si decida di ridurre la produzione di energia.

Inutile l’argomento evocato dallo stesso Guido Bortoni (poi evidentemente convertitosi a quello che il ministro Calenda ha definito “il pensiero elettrico”) all’esordio della sua esperienza come presidente dell’AEEG, quando parlava nella relazione annuale di “rischio di disconnessione a catena degli impianti” se si fosse insistito nella installazione di sempre più potenziale elettrico non programmabile.
Inutili i rischi di black out corsi lo scorso gennaio durante la crisi del nucleare francese, inutile il warning sull’Italia nel Summer Outlook dell’ENTSO, inutili i rischi di black out corsi la scorsa estate, quando il picco di caldo esteso su tutto il territorio nazionale è fortunosamente arrivato ad inizio agosto, a fabbriche chiuse.
Inutile evocare i costi del capacity market, che è solo un (dispendiosissimo) accanimento terapeutico, che prolungherà l’agonia del sistema concepito nella SEN ma non eviterà l’inevitabile. Si porrà infatti rimedio, momentaneamente, nel ritardare l’uscita dalla produzione degli impianti termoelettrici destinati al back up di eolico e fotovoltaico; ma non sarà sufficiente a favorire, in futuro, la costruzione di nuovi, inevitabili, impianti termici, che finiranno per essere in toto a carico dello Stato onde evitare il baratro energetico.
Inutile ripetere che i favoleggiati impianti per l’accumulo di enormi quantità di energia elettrica sono solo fantascienza. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, esprime così l’elementare concetto nell’intervista a Specchio Economico dello scorso maggio dal titolo “Nomisma Energia: da Chernobyl ad ora l’esplosione dell’integralismo ambientalista“:
L’eolico funziona solo quando c’è vento, il solare solo quando è giorno. E’ per questo che tutte le aspettative sono sugli accumuli, sulle batterie. Dai tempi del nostro Alessandro Volta ci sono solo stati miglioramenti, ma non scoperte straordinarie come, invece, sarebbero necessarie per scalfire la supremazia del petrolio e del carbone.
Inutili gli argomenti di forte critica alla SEN della lettera al governo delle associazioni ambientaliste.
Niente da fare: ogni obiezione pare vana. Le FER elettriche non programmabili sono di nuovo in rampa di lancio e nessun argomento logico sembra arrestarle.
Il seminario di Elettricità Futura sulla SEN del 2 ottobre scorso a Roma ne è stata una ennesima testimonianza. Eppure, proprio in quell’occasione, come riportato dall’articolo “Vettore di Industria 4.0” del Quotidiano Energia, si è levata qualche voce dubbiosa, dissonante rispetto ai peana dei tanti corifèi. Accanto alla solita vox clamantis in deserto del Professor Tabarelli, che riscontra nella SEN i segni della volontà di “deindustrializzazione del Paese” (citiamo da un suo articolo precedente: “E’ un documento denso di sofisticati pensieri e di visioni, ottimo per dimenticare i costi delle transizioni che penalizzano soprattutto il nostro sistema industriale, il cui arretramento è la prima causa dello strutturale impoverimento del paese”), si è espressa anche una voce istituzionale:

Il direttore della Divisione Energia dell’Autorità, Clara Poletti, ha però subito smorzato gli entusiasmi: “L’esperienza ci insegna che la riduzione del costo delle rinnovabili non porta automaticamente al calo degli oneri, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”… Ed è possibile che “la grid parity non sia così vicina”.

Un altro timido segnale di ravvedimento sulle magnifiche sorti e progressive del nostro sistema elettrico basato sulle FER non programmabili ci viene dall’autorevole Sole 24 Ore. Si comincia dall’articolo del 6 ottobre di Federico Rendina “Nucleare, così il mal francese colpisce anche noi“, che così si conclude:

Continuiamo a essere in una teorica sovracapacità, ma il margine di riserva, ovvero la potenza eccedente effettivamente disponibile per far fronte a richieste in qualche modo impreviste o alle esigenze di supplire a qualche centrale che si rompe o linea elettrica che si interrompe, è tornato ai minimi storici. Siamo in equilibrio precario. E il “mal francese” dell’elettricità non ci aiuta proprio. A conferma che qualche ripensamento nella nostra strategia sul sistema elettrico è opportuno. A fornirci lumi, e magari qualche rimedio, sarà (si spera) il prossimo varo della nuova edizione (non è la prima) della Strategia energetica nazionale annunciato in questi giorni dal ministro dello sviluppo Carlo Calenda.

Queste recenti preoccupazioni del Sole, che sono da anni anche le nostre, vengono rafforzate da un altro articolo, di due giorni dopo e questa volta a firma di Jacopo Giliberto, con un forte titolo: “Elettricità, forniture industriali a rischio interruzione“.

Leggiamo:
Potrebbero esserci difficoltà nelle forniture industriali di elettricità… all’origine c’è lo scompenso sui conti dei venditori elettrici prodotto da una variazione nella disciplina del “bilanciamento” (cioè altri guai prodotti dall’energia non programmabile. Ndr), uno dei meccanismi del mercato energetico che vanno a concorrere alla formazione dei costi del chilowattora… Ma un altro problema, assai più consistente, potrebbe venire dai rincari del chilowattora all’origine, come durante la crisi del nucleare francese all’inizio dell’anno.

Citiamo, per concludere il nostro ragionamento, Salvatore Carollo, che rifletteva sulle irrazionalità della SEN nell’articolo “Visionari e sogni di mezza estate” sulla Staffetta Quotidiana del 29 luglio scorso:

Per carità, se tutto questo fosse necessario ed indispensabile per salvaguardare il pianeta, dovremmo farcene una ragione. Al contrario, è troppo evidente che ci troviamo dinnanzi a spinte di alcune potenti lobbies dell’energia, che stanno cercando di imporre “una” soluzione come “la” soluzione del futuro, evitando che il dibattito e le analisi prendano in considerazione “tutte” le soluzioni possibili e si scelga la migliore, la più conveniente e sostenibile per il paese.

Tra pochi giorni sapremo se i nostri timori sono fondati.
Nutriamo un’ultima, flebile speranza nel ministro Calenda, che ci aveva illusi (“La scelta fatta con le rinnovabili è stata una scelta dissennata!“), e in un miglioramento dell’ultim’ora degli aspetti più irragionevoli della SEN. Se Calenda ci deludesse ancora, piegandosi al conformismo dell’establishment, passerebbe alla storia come un novello apprendista stregone oppure, qualora così facendo intendesse progredire nella carriera politica, come uno dei tanti incantatori a cui peraltro, oggi più che mai, gli italiani amano dare fiducia alle elezioni.

Alberto Cuppini

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